Profarmaco per una nuova terapia della malattia di Alzheimer
ROBERTO COLONNA
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 13 gennaio 2018.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Studi preliminari hanno
dimostrato che il composto 7,8-DHF, che mima il BDNF e agisce come un potente
agonista micromolecolare di TrkB, presenta una notevole efficacia terapeutica
nei modelli sperimentali di malattia di Alzheimer. La molecola ha però solo una
modesta biodisponibilità orale e un profilo farmacocinetico non ottimale.
Chun Chen e colleghi, per
superare questi limiti evidenziati nella sperimentazione preclinica, hanno
scelto la strategia di identificare un profarmaco in grado di migliorare i
requisiti necessari al 7,8-DHF per diventare un nuovo agente terapeutico da
impiegare nel trattamento clinico della neurodegenerazione alzheimeriana.
I risultati ottenuti dai
ricercatori sono incoraggianti.
(Chen C., et al., The prodrug
of 7,8-dhydroxyflavone development and therapeutic efficacy for treating
Alzheimer’s disease. Proceedings of the
National Academy of Sciences USA - Epub ahead of print
doi:10.1073/pnas.1718683115, 2018).
La provenienza degli autori
è la seguente: College of Biosystems Engineering and Food Science, Zhejiang
University, Zhejiang (Cina); Department of Pathology and Laboratory Medicine,
Emory University School of Medicine, Atlanta, Georgia (USA).
[Edited by Solomon H. Snyder, Johns Hopkins University School of
Medicine, Baltimore, Maryland (USA)].
Come si è accennato, in una
varietà di modelli sperimentali animali, il composto 7,8-di-idrossiflavone
(7,8-DHF) mima le azioni fisiologiche del peptide brain-derived neurotrophic factor (BDNF).
Ricordiamo che questa
neurotrofina fu purificata da Barde e colleghi nel 1982[1], dal
cervello di mammiferi, e la sua similarità di sequenza con il nerve growth factor (NGF)[2] in
specifici domini, suggerì che entrambe le molecole provenissero da una famiglia
di geni detta delle “neurotrofine” (Barde, 1994)[3]. Dopo
poco, seguì l’identificazione di altri due membri della stessa famiglia: NT3 ed
NT4. L’azione di questo peptide neurotrofico si esplica mediante il legame al
recettore TrkB[4]. I dati sulle funzioni
fisiologiche e sui ruoli nella patologia del BDNF sono difficili da
sintetizzare, qui ci limitiamo a ricordare solo alcune tra le nozioni principali.
Nel sistema nervoso periferico
il BDNF influenza la sopravvivenza di specifiche popolazioni di neuroni
sensoriali, quali una sub-popolazione del DRG (dorsal root ganglion) e i neuroni del ganglio nodoso che non
rispondono al NGF. I topi privi di BDNF vanno incontro ad una perdita di
neuroni sensoriali nei gangli craniali e spinali, così come dei neuroni
sensoriali vestibolari. Oltre ad effetti sulla sopravvivenza dei neuroni, il
BDNF ha mostrato la capacità di regolare la funzione delle cellule non-neuroniche.
Infatti, è stato rilevato un importante ruolo nella mielinizzazione mediata
dalle cellule di Schwann e nella differenziazione degli oligodendrociti durante
lo sviluppo e a seguito di danni, influenzando in maniera distinta e specifica
le cellule produttrici di mielina del sistema nervoso centrale e periferico. Il
BDNF è estesamente espresso nel cervello, dove supporta la sopravvivenza di
importanti popolazioni di cellule nervose, incluse quelle che vanno perdute in
una serie di malattie neurodegenerative: i motoneuroni spinali che degenerano
con quelli superiori nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA), i neuroni
dopaminergici della sostanza nera mesencefalica che degenerano nella malattia
di Parkinson, i neuroni colinergici del proencefalo basale che degenerano nella
malattia di Alzheimer.
Studi relativamente recenti
hanno dimostrato anche un’influenza generale in molti processi dello sviluppo e
della fisiologia del sistema nervoso centrale, incluse la differenziazione, la
crescita e l’arborizzazione dei dendriti, e la sinaptogenesi, oltre alla già
menzionata sopravvivenza. L’attività sinaptica, in particolare il rilascio di
glutammato dai terminali presinaptici, regola la sintesi e il rilascio di BDNF
da parte dei neuroni post-sinaptici, che a loro volta possono indurre
fosforilazione delle subunità dei recettori del glutammato, accrescendo la
risposta al neurotrasmettitore. Questa comunicazione bidirezionale può
determinare stabilizzazione delle sinapsi e miglioramento dell’efficacia neurotrasmissiva.
Il BDNF interviene anche regolando la plasticità sinaptica dei neuroni ippocampali,
influenzando i cambiamenti della forza sinaptica dipendenti dall’esperienza:
questi effetti sul potenziamento a lungo
termine (LTP) suggeriscono una rilevante partecipazione a molte funzioni
cognitive[5].
È stato dimostrato che il BDNF
ha un ruolo nella regolazione di numerosi stati fisiopatologici che interessano
la clinica psichiatrica, quali i disturbi dell’alimentazione, la psicopatologia
associata ad ansia, le sindromi da stress
e i deficit cognitivi[6].
Il 7,8-DHF, legandosi al
recettore TrkB, riproduce molte azioni del BDNF, risultando efficace nel
trattamento della patologia alzheimeriana riprodotta nei modelli sperimentali;
tuttavia, la sua modesta biodisponibilità orale e il suo profilo
farmacocinetico costituiscono un impedimento all’impiego terapeutico. Chen e
colleghi hanno aggirato questo ostacolo seguendo la strategia del profarmaco:
hanno sintetizzato un grande numero di derivati del 7,8-DHF mediante
esterificazione o modificazione con un gruppo di carbammato dell’anello
catecolico dei composti prodotti. Impiegando saggi in vitro di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione,
combinati con studi di farmacocinetica in
vivo, i ricercatori hanno identificato R13, quale profarmaco che regola
verso l’alto i profili farmacocinetici di 7,8-DHF.
R13 è risultato essere il
profarmaco ottimale per le sue proprietà e, particolarmente, in quanto capace
di determinare la regressione dei difetti cognitivi in un modello murino di
malattia di Alzheimer, con efficacia direttamente proporzionale alla dose.
In particolare, la
somministrazione orale cronica di R13 attivava la segnalazione di TrkB,
prevenendo la deposizione di β-amiloide nei topi 5XFAD AD, mediante
l’inibizione della scissione patologica del precursore APP e della proteina tau
da parte di AEP. Inoltre, R13 inibiva la perdita delle sinapsi ippocampali,
riducendo i difetti di prestazione della memoria con effetti positivi
dose-dipendenti.
I risultati di questo studio
fanno sperare in un’efficacia terapeutica notevole di R13, soprattutto per la
sua intensa attivazione di TrkB e l’eliminazione delle placche amiloidi nel
modello sperimentale murino, mediante la repressione di AEP.
Le fasi di studio successive
ci diranno se davvero si potrà disporre a breve di un nuovo mezzo terapeutico
che, se saranno confermati nell’uomo i risultati ottenuti nel topo, potrà
modificare il decorso di questa inesorabile malattia.
L’autore della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani che ha corretto la bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni
di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
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[1] Barde Y. A., et al. Purification of a new neurotrophic factor from a mammalian brain. EMBO Journal 1, 549-553, 1982.
[2] Scoperto da Rita Levi-Montalcini (v. Levi-Montalcini R. & Angeletti P. U., Developmental Biology 7, 653-659, 1963) che per questo ottenne il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina nel 1986, insieme con Stanley Cohen.
[3] Barde Y. A., Neurotrophins: a
family of proteins supporting the survival of neurons. Progress in Clinical and Biological Research 390, 45-56, 1994.
[4] Su questo stesso recettore agiscono le NT4 e 5. Invece, il NGF interagisce con TrkA e la NT3 con TrkC.
[5] Basic
Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price, editors-in-chief), eight edition, p. 550, Elsevier AP, 2012.
[6] Per maggiori dettagli ed ulteriori dati si rimanda alle trattazioni specialistiche di neurochimica e alle rassegne recenti.